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 Vista aerea di un peschereccio in mare aperto, circondato da gabbiani, con a bordo due persone impegnate in attività di pesca

Pescare in modo sostenibile

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 Vista aerea di un peschereccio in mare aperto, circondato da gabbiani, con a bordo due persone impegnate in attività di pesca
© Westside / Adobe Stock

I pesci non conoscono frontiere, il che li rende una risorsa naturale straordinariamente accessibile. Una gestione congiunta della pesca a livello internazionale è dunque un passo logico necessario per favorire la conservazione della vita marina, garantire la redditività economica e fornire alimenti di qualità. L'Unione europea ha quindi elaborato una politica comune della pesca che stabilisce regole valide per tutti i paesi membri. Inoltre, negozia e sigla accordi internazionali in materia di pesca a nome di tutti i suoi cittadini. Tra le sfide emergenti in questo ambito spiccano la capacità del settore di attrarre giovani lavoratori e la decarbonizzazione della flotta marittima dell'UE.

Cosa può fare l'UE?

Al centro della politica europea sulla pesca ci sono i pesci catturati in mare. Per evitare lo sfruttamento eccessivo di questa risorsa, l'UE stabilisce come, quando e quanti pesci si possono catturare. La politica più nota al riguardo è quella dei cosiddetti "totali ammissibili di catture". Ogni anno i paesi membri dell'UE si riuniscono per decidere, sulla base di pareri scientifici, quanti pesci possano essere prelevati dai vari stock ittici (popolazioni). L'Unione ha introdotto anche norme sulla taglia minima, in modo da proteggere i pesci più giovani, e sugli attrezzi da pesca autorizzati, per ridurre le probabilità che altre forme di vita restino inavvertitamente intrappolate nelle reti. Altre norme stabiliscono il periodo e il luogo in cui è consentito pescare, altre ancora definiscono le modalità con cui i governi dei paesi membri dovrebbero applicare queste regole in modo da garantire che tutti i pescatori dell'UE siano trattati allo stesso modo.

L'Unione europea e i suoi paesi membri stabiliscono norme collettive anche per l'allevamento dei pesci, detto anche "acquacoltura" (che rappresenta un quarto della produzione totale di pesci dell'UE), per la pesca nelle acque interne (un settore di piccole dimensioni) e per la trasformazione e la distribuzione dei prodotti della pesca (la principale fonte di occupazione). Nel settore dell'acquacoltura, ad esempio, i paesi seguono gli orientamenti e le norme in materia di sanità animale fissati dall'UE.

Sulla scena mondiale, l'Unione agisce per conto di tutti gli europei. Ad esempio, per poter accedere ad alcune specie, come quelle dei tonnidi tropicali, l'UE negozia accordi di pesca con i paesi terzi, assicurandosi l'accesso alle loro acque in cambio di assistenza finanziaria e di sostegno allo sviluppo per i loro settori della pesca. L'UE contribuisce anche alla gestione sostenibile della pesca d'altura. Ed essendo il più grande mercato al mondo per pesci e frutti di mare, ha stabilito norme rigorose per impedire che i prodotti di provenienza illegale finiscano sulle nostre tavole. Più in generale, l'UE si adopera per rafforzare la governance globale degli oceani adottando e applicando norme internazionali.

Cosa ha fatto finora l'UE?

L'UE ha profondamente rivisto la sua politica sulla pesca nel 2013. L'obiettivo era di basarsi su misure scientifiche per preservare meglio la vita marina, garantendo uno sfruttamento sostenibile di tutti gli stock entro il 2020. Per farlo, si è mossa su più fronti, ad esempio stilando piani pluriennali per gestire le popolazioni ittiche in base non solo al tipo di pesca, ma anche al bacino marittimo. Per porre fine alla pratica del rigetto in mare delle catture indesiderate, l'Unione ha introdotto l'obbligo di sbarcare tutte le catture.

Nell'Atlantico nord-orientale dell'Unione europea (compresi i mari adiacenti, come il Mare del Nord) sono stati compiuti buoni progressi in materia di conservazione. In queste acque, infatti, il tasso medio di sfruttamento è in linea con gli obiettivi. Nel Mediterraneo e nel Mar Nero, invece, nonostante siano stati fatti passi avanti, lo sfruttamento eccessivo degli stock rimane un problema. A destare particolare preoccupazione è il Mar Baltico, dove l'ecosistema risente di pressioni ambientali come l'inquinamento e i cambiamenti climatici. E poiché in questo mare la pesca di alcune specie è stata interrotta, l'UE fornisce sostegno alle persone colpite. Inoltre, è intervenuta per aiutare i pescatori colpiti dalla Brexit e dalla crisi energetica provocata dalla guerra della Russia contro l'Ucraina.

La revisione del regime unionale di controllo della pesca è uno sviluppo nuovo e importante. Si tratta di una profonda revisione che mira a garantire che tutti rispettino le regole. I governi dei paesi membri monitoreranno non solo tutti i pescherecci, che dovranno comunicare tutte le catture per via elettronica, ma anche le attività di pesca ricreativa. Inoltre, tutti i prodotti ittici dovranno essere tracciabili. E per coloro che non pescano in modo equo, ci saranno sanzioni armonizzate a livello europeo. Infine, l'obbligo di sbarco sarà applicato mediante l'installazione di telecamere a bordo delle navi più grandi.

Quali sono le prossime sfide?

A dieci anni dalla riforma del 2013, l'UE sta valutando i progressi compiuti nella conservazione degli stock ittici. Il Green Deal europeo e la sua ambizione di raggiungere la neutralità climatica pongono però nuove questioni. Come conciliare le politiche in materia di ambiente e di pesca (soprattutto alla luce del piano di ampliare sia le aree marine protette che i parchi eolici offshore)? Come decarbonizzare il settore della pesca (questione ancora più pressante a causa della crisi energetica)? Dove trovare e come responsabilizzare la prossima generazione di pescatori? In uno spazio marittimo sempre più affollato, sarà fondamentale trovare un equilibrio tra sostenibilità e competitività.

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